A sbaragliare la concorrenza di oltre 90 concorrenti è stato Leonardo Taddei pratese che vive in Danimarca. A sceglierlo, Sandro Veronesi con questa motivazione:
Quest’anno ho apprezzato particolarmente Sassari. Vi è in questo racconto una doppia classicità, una rappresentata dalla “bugia pietosa”, sebbene rovesciata rispetto al normale, poiché pronunciata a un anziano e non a un bambino (vedi “La vita è bella”); l’altra trasportata dall’uso del dialetto, molto ben sorvegliato, che dunque non sconfina mai nel vernacolo ma al contrario sigilla l’innocenza del protagonista dinanzi all’enormità che gli sta capitando. Per me è questo il vincitore, nettamente.
Al secondo posto, Guido Carretta di Treviso, mentre Giulia Venturi di Orsigna ha completato il podio. A Nicola Buoso di Rovigo è andato il premio popolare dedicato ad Alfredo Bartoli, illustre letterato e grande latinista piastrese.
Ecco i racconti dei premiati.
Sassari di Leonardo Taddei
Un assordante sibilo accompagnò la brusca frenata del treno. Quando le porte
si aprirono, molti pensarono ad una collisione.
“Giovanotti! Esigo di parla’ subito co’i’ capotreno”, esclamò Saverio.
L’anziano, visibilmente provato, tentò invano di rivolgersi agli agenti, che con
noncuranza lo strattonarono giù dal convoglio insieme agli altri.
“Nonno, smettila. Sta’ zitto!” lo rimproverò il nipote a denti stretti, mentre lo
aiutava a rialzarsi da terra.
“Ma Gianni, icché tu dici? Gli’è un monte che siamo in viaggio, e fa un cardo”,
esplose, scrollandosi la polvere dal vestito con la mano tremante
d’insofferenza, mentre controllava i graffi sul suo bastone in legno. “Ma poi,
siamo un reggimento lì dentro. E ‘un siamo mi’a bestie, oh? Io ‘un ce la fo più:
ho bisogno di famm’una doccia”.
“No!” sbottò Gianni.
Subito si guardò intorno, per assicurarsi di non aver attirato l’attenzione delle
guardie, ma, in tutta quella confusione, solo un bambino mezzo svestito li
stava osservando con il naso colante e la faccia imbronciata.
“Se ti chiedano di fa’ la doccia, tu gli de’i di’ di no! Capito?!?”, proseguì
perentorio.
“O pe’icché?” chiese Saverio, candidamente.
“Perché no!” ribatté il nipote.
“Va bene, ‘un la fo. ‘Un t’agitare!” tentò di discolparsi l’anziano. “Che poi q’esti
poliziotti io e ‘un l’intendo. ‘Un so icché parlino, ma per me gli’è arabo. Sai, io
ho la terz’elementare, e ‘un so’ mai sorti’o da i’ mi’ paesino, ma mi pare’a che
pe’ arriva’ a Sassari e ci fosse da passa’ ‘i mare. O che costruonno ‘i ponte?”
chiese l’uomo, ingenuamente, puntando con la sommità del bastone il colletto
di uno dei gendarmi in lontananza, sul quale era cucita la doppia lettera SS.
“Sì, nonno” gli rispose il nipote a stento, tentando di abbozzare almeno un
mezzo sorriso. “Ci portan’a Sassari.”
LA VERITÀ SULL’INFERNO DI DANTE di Guido Carretta
(Mirate la dottrina che s’asconde / sotto il velame de li versi strani)
È uno dei viaggi più famosi della letteratura, ma è una bugia.
Quello che Dante chiama Inferno è in realtà la sede dell’INPS di Firenze, dove il poeta si è recato per una richiesta di pensione anticipata, essendo egli ancor troppo giovane (Nel mezzo del camin di nostra vita…) per quella di anzianità.
All’ingresso Dante trova un bonario usciere (Caron dimonio con gli occhi di bragia), incaricato di smistare con una parola gentile i visitatori (Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate!).
Il poeta non comprende bene le indicazioni ricevute (I’ credo ch’ei credette ch’io credesse..) e chiede consiglio ai presenti, ricevendone risposte contrastanti (Per me si va nella città dolente… per me si va ne l’etterno dolore… per me si va tra la perduta gente…).
Disorientato Dante prova in diversi uffici.
Naturalmente l’ascensore è guasto (Com’è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale).
Aprendo una porta a caso sorprende il rag.Ugolino che sta mangiando un toast farcito (La bocca sollevò dal fiero pasto).
Alla fine giunge all’ufficio del Direttore Generale, il dott. Farinata (Vedi la’ Farinata che s’è dritto). Lo trova seduto dietro la scrivania (Dalla cintola in su tutto ‘l vedrai).
Farinata gli comunica che la sua richiesta è stata respinta. Dante chiede chi abbia dato quel parere negativo (Colui / che fece per viltade il gran rifiuto), ma viene congedato piuttosto sgarbatamente (Vuolsi così, colà dove si puote/ ciò che si vuole, e più non dimandare) e pure spernacchiato (Ed elli avea del cul fatto trombetta).
Il poeta rimane un po’ deluso (Ambo le man per lo dolor mi morsi), e accusa un lieve malore (E caddi, come corpo morto cade). Quando esce è già notte fonda (Et quindi uscimmo, a riveder le stelle).
Per consolarsi va fuori a cena (Poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno).
I TRENI DELLA VITA di Giulia Venturi
In un giorno di un inverno lontano, alla stazione di Pracchia, una signora vestita di nero sostava con gli occhi intenti sulle gelide rotaie. Io ero piccola e giocavo a guardare i treni correre nel mio mondo di pensieri colorati. Lei mi sorrise con una strana saggezza che le vibrava negli occhi lucidi di malinconia; mi fece accomodare sulla panchina umida e mi raccontò che veniva da una profonda tristezza. Mi disse che questa volta avrebbe desiderato tanto scendere alla stazione della felicità, ma che i treni erano strani, non si sapeva mai dove conducessero quando ci salivi sopra. Saresti potuto finire nella nostalgia e allora tutto sarebbe sfumato in un pallido grigio e avresti vagato per molto in cerca di qualcosa di irrimediabilmente perduto. Saresti potuto scendere nell’euforia e allora ogni cosa si sarebbe agitata in una danza armoniosa di luci abbacinanti e tonalità vivaci. Saresti potuto arrivare nella noia e allora tutto si sarebbe spento in un pallore sonnolento e indolente. Comunque, mai fermarsi troppo in una stazione mi disse conosco un caro amico che è sceso nel dolore e non è più ripartito; ora piange così tanto che non vede più i treni che gli passano accanto, credo che rimarrà lì per sempre, aggiunse con un’espressione amareggiata. Allora un campanello iniziò a trillare insistente. Ecco, sta arrivando, esclamò afferrando il suo piccolo bagaglio d’esperienza. Prima che se ne andasse le chiesi quando sarebbe passato il mio treno; lei sorrise e mi disse che non lo sapeva, ma mi raccomandò di stare in guardia, era certa che sarebbe arrivato, perché prima o poi un treno arriva sempre.
PRIMA O POI…CI SI RITROVA di Nicola Buoso
<<Nino, cosa ci fai qui?>>.
<<Sono venuto al funerale di Ugo, e immagino che sia lo stesso anche per te Elio, ma sono già le 16.00 e qui, davanti alla chiesa, ci siamo solo noi due>>.
<<Hai ragione, ma nell’epigrafe c’era scritto: Sono Ugo, vi notizio che sono appena morto, siete invitati al mio funerale, oggi alle 15.00, alla chiesa del Predicatore>>.
<<Lo sai che Ugo era un bugiardo incallito e un gran burlone, non vorrei che ci avesse fatto uno scherzo>>.
<<All’ufficio di stato civile, dove lavorava, la denuncia di morte c’è, ho controllato, ma non ci si può fidare, conoscendo Ugo potrebbe anche averla falsificata … ma guarda, sta arrivando il carro funebre, dai, facciamoci vedere!>>.
L’autoveicolo si fermò, l’autista abbassò il finestrino e chiese loro: <<Siete Nino ed Elio?>>.
<<Sì>>, risposero all’unisono.
<<Ho un messaggio per voi, il signor Ugo ha avuto un ripensamento, decidendo di tornare fra i vivi, lui lo sa da dove venite e si dispiace per il lungo viaggio che avete fatto, così, per farsi perdonare, dentro la sua bara, troverete un regalo>>.
I due guardarono dentro il carro funebre, la bara era aperta e senza il coperchio, al suo interno, un enorme pesce di cartapesta dipinto con colori sgargianti sembrava osservarli.
Nino ed Elio esclamarono insieme: <<Il fetido ce l’ha fatta, oggi è il primo aprile!>>.
<<E’ inutile arrabbiarsi – disse Elio – tanto, prima o poi muore anche lui, con il suo destino nemmeno Ugo ci potrà scherzare, e noi saremo ad aspettarlo nell’aldilà per dargli il benvenuto che si merita, ma ora muoviti che lì ci dobbiamo tornare, e lo sai che per arrivarci il tempo che occorre è un’eternità>>.
<<Non esagerare, è solo per i vivi che sembra un tempo infinito, ma per noi defunti il viaggio dura solo un attimo!>>.