
È Anna Paola Lacatena, una sociologa che lavora alla Asl di Taranto, la scrittrice più bugiarda d’Italia. Si aggiudica il bugiardino d’oro messo in palio dall’Accademia della bugia de Le Piastre, organizzatrice della trentottesima edizione del Campionato italiano della bugia. E’ questo il verdetto emesso dallo scrittore Sandro Veronesi al cui giudizio finale sono state sottoposte le dieci migliori bugie scelte tra le ottanta partecipanti al concorso che proponeva come tema la menzogna a tavola.
Dopo la vincitrice si sono piazzati Maurizio Gilardi di Arese (MI) con la pantegana arrosto spacciata per fagiano e Ludovico Ferrari da Varallo (VC) per la sua storia sul polpo di lago, giunto terzo a pari merito con Anna Martinenghi di Cremona, che con la mozzarella blu al viagra tinta invece con i mirtilli si aggiudica anche, e per il secondo anno consecutivo, il premio intitolato al letterato Bartoli, assegnato dalla giuria popolare piastrese.
Il racconto vincitore si intitola “Cento lire” ed è una specie di nota autobiografica dell’autrice, che da piccola serviva nel ristorante gestito dal padre con il quale aveva un accordo: le avrebbe dato 100 lire ogni volta che avesse indovinato la portata ordinata dai clienti. E il suo breve racconto termina con il piacere di aver infine capito che era il padre ad indurre i clienti a scegliere il piatto da lei indicato per farle vincere la moneta (LEGGI SOTTO IL RACCONTO)

“E’ diversa da tutte – scrive Veronesi nella motivazione – e non riguarda la sostanza che viene servita, ma una sfera molto più delicata e fragile, quella della forza trasmessa da un padre ad una figlia. Potrebbe benissimo, quella bugia, essere una pagina di un bel romanzo e leggendola si desidera essere quel padre o quella figlia o anche solo quei clienti che si fanno condizionare – insomma di esserci dentro in qualche modo.Chapeau”. Parole che, ovviamente, hanno entusiasmato la vincitrice che ha espresso il desiderio di interloquire direttamente con il vincitore del premio Strega 2006.
CENTO LIRE
“Buona sera.”
“Buona sera, prego accomodatevi.”
Entrando in quel bistrot dall’arredamento semplice e accogliente, posò i suoi occhi sulla lavagna che riportava i piatti del giorno. Le parole scritte con un gessetto arancione la condussero come viaggiatrice occasionale nel mondo di quei quei ricordi che, meglio di ogni altra cosa, sanno evocare ciò che non c’è più.Era cresciuta in un ristorante. Quanto può essere importante trascorrere la propria infanzia tra la gente, lo aveva capito nella scelta di diventare una sociologa. Il tramite tra la cucina ed il cliente, era suo padre. Pantalone nero, camicia bianca, papillon scuro, mocassini comodi e una capacità tutta particolare: sapeva portare sei piatti su una sola mano. Li sosteneva a testa alta, senza esitazioni. Cavolo! Quell’uomo dal bicipite teso e dal dopobarba al pino silvestre era suo padre!
“Ti do cento lire se indovini cosa ordina il signore che è appena entrato.”
Il più delle volte la bambina, acquisito il bottino, correva alla salumeria all’angolo a comprarsi un ghiacciolo al limone. Sceglieva per celebrare la sua vittoria un trofeo semplice, come se una nocciola o una lacrima di cioccolato potesse sottrarre qualcosa al nitore della sua vittoria. Si era convinta di essere talmente brava nell’esercizio da ridurre al minimo il tempo della riflessione.
Un’occhiata rapida all’avventore e giù di rigatoni, tagliatelle, pesce, carne, “insalatina”. Era difficile sfuggire alla sua penetrante lente orientata sul portatore di appetito.
“… Allora ti va bene quel tavolo?!”
Riafferrata dal presente, annuì. Concesse ancora qualche istante, però, al ricordo di quelle cento lire e pensò … che bravo era mio padre a fare ordinare ai suoi clienti quello io avevo indicato.